LA CONOSCENZA RENDE LIBERI

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Lo Stato, ancora, condannato per la durata di un fallimento.I politici prendano atto dei veri problemi della giustizia civile!!!

ParlamentoNon so se i parlamentari, i politici, abbiano davvero compreso la gravità della situazione in cui si trova, in Italia, la giustizia civile. Credo che molti, soprattutto i parlamentari-avvocati, dovrebbero tornare più spesso nelle aule di giustizia ed assistere, magari, alle udienze prestando particolare attenzione ai rinvii tra un’udienza e la successiva.

I tempi infiniti e la durata “irragionevole” di una causa civile, privando, spesso, la parte dei diritti fondamentali della persona umana, possono comportare pregiudizi gravissimi: il fallimento di un’impresa, la perdita di un patrimonio o, perfino, la compromissione dei mezzi di sussistenza.

Ancora più insidiosa è la durata irragionevole di una procedura fallimentare. In alcuni casi, anzi, oltre che irragionevole, è scandalosa perché, mentre il “fallito” attende di tornare “in bonis”, intorno alla procedura gravitano consulenti, legali, curatori, custodi, ausiliari ben pagati ma il cui operato non sempre, a mio avviso, è ineccepibile.

Giorni fa, mentre mi trovavo in una cancelleria a consultare un fascicolo, ho chiesto ad una cancelliera se, anche in quel Tribunale, ci fossero procedure eccessivamente lunghe. Ha risposto, sorridendo, che pende una procedura fallimentare da oltre trent’anni. Mi è venuto in mente un bellissimo aneddoto raccontato, oltre cinquant’anni fa, da Piero Calamandrei ne “L’elogio dei giudici” che, ricordando come dai tempi di Giustiniano il processo venisse immaginato come un organismo vivente che nasce, cresce e si estingue col giudicato, racconta come di una tale “personificazione” fosse consapevole un contadino toscano che gli chiedeva di assisterlo per un appello in una causa che, in primo grado, era durata sei anni. Diceva il contadino, con un accento di tenerezza -racconta Calamandrei- simile ad un nonno che presenta la nipotina alla maestra: “Sor avvocato, a questa causa mi ci sono affezionato. La metto nelle sue mani. Vede, l’ha sei anni: l’è digià grandina. La si può cominciare a mandare a scuola”.

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Crisi economica, usura bancaria e crisi della giustizia: quando i giudici tutelano le vittime

Ritengo -e l’ho sempre scritto su questo mio blog fino, probabilmente, a rischiare di essere considerato noioso e monotono da chi legge le mie pur modeste opinioni- che le cause dell’attuale crisi economica italiana, al contrario di quanto comunemente affermato sui media, possano, solo in minima parte, ricondursi alle medesime ragioni che hanno determinato la crisi che, da circa un anno, si trascina in varie parti del mondo, principalmente, a causa del fallimento di banche ed assicurazioni negli Stati Uniti.

La crisi economica italiana, a mio avviso, è fortemente determinata, da una parte, dallo strapotere e dall’impunità del sistema bancario e, dall’altra, dalla crisi della giustizia e della politica i cui responsabili, amministratori e rappresentanti, per diversi motivi, non sempre hanno saputo o voluto far rispettare le norme di legge: talvolta, probabilmente, non lo possono fare dal momento che, come le imprese, anche i partiti, i movimenti o i loro rappresentanti sono indebitati.
Esistono, oltre che il codice penale e il codice civile, migliaia di sentenze che ribadiscono alle banche il divieto di pretendere interessi su interessi o richiedere il saldo determinatosi, nel corso degli anni, a causa dell’addebito di interessi anatocistici, commissioni di massimo scoperto non dovute ed altri oneri illegittimi. Eppure, nelle aule di giustizia, continuano a circolare impunemente soggetti che richiedono ed ottengono decreti ingiuntivi al fine di ottenere somme che, per legge e giurisprudenza, non sono dovute, costringendo, così, la controparte a difendersi. Ci sono, poi, esecuzioni immobiliari fondate su mutui “suggeriti”, spesso, dagli stessi funzionari di banche per estinguere apparenti saldi di conto corrente già gravati dall’addebito di interessi su interessi ed altri oneri illegittimi.
Se uno spacciatore di droga, con una cambiale o un decreto ingiuntivo esecutivo, minacciasse un’esecuzione immobiliare, il giudice civile non farebbe altro che sospendere il titolo per evitare che si concretizzi la minaccia trasmettendo gli atti alla Procura della Repubblica; se non fosse possibile sospendere il titolo (ad esempio, perchè divenuto definitivo per difetto di opposizione), probabilmente, resterebbe ferma la definitività del titolo ma (almeno, si spera) la pretesa illecita non troverebbe, comunque, tutela nelle aule di giustizia. Diversamente accade, a volte, se, invece, una pretesa illecita viene avanzata da un rappresentante della banca che, con un titolo rappresentativo di una pretesa che l’ordinamento analogamente vieta, minaccia la vendita di una casa, di un’impresa o di un intero patrimonio.

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Illustre Governatore, l’usura e l’estorsione sono un pericolo ma le banche …………..

La settimana scorsa il Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, nel corso di un’audizione dinanzi alla Commissione Parlamentare Antimafia, ha manifestato la sua preoccupazione che, nel corso dell’attuale crisi, le imprese siano maggiormente esposte al rischio di fenomeni criminali, tra cui, l’usura. Condivido ma credo che l’analisi sarebbe stata più completa se si fosse anche preso atto che le difficoltà cui sono esposte le aziende o le famiglie derivano anche dalle stesse pretese di molti istituti di credito che, a mio avviso, in alcuni casi, non sono meno illecite e meno pericolose.

Pubblico di seguito la mia “lettera aperta” al Governatore della Banca d’Italia che provvedo anche ad inviare formalmente:

Al sig. Governatore della Banca d’Italia

Dott. Mario Draghi

Palazzo Koch

Via Nazionale

ROMA

Illustre Governatore,

sia quale difensore di imprenditori-vittime di usura ed estorsione sia quale figlio di una vittima della criminalità e della malagiustizia, condivido –sia pure ritenendole, come dirò, lacunose- le Sue recenti dichiarazioni con le quali ha manifestato la preoccupazione che, in questo periodo di crisi, le imprese siano più soggette a fenomeni criminali, tra cui, in primis, l’usura. Mi permetto, però, di evidenziarLe che, a mio avviso, tale rischio è, di certo, uno dei possibili effetti (forse, il più ovvio) in carenza di una seria attività di contrasto -e sostegno a chi denuncia- che, in Italia, secondo quanto si evince da vari provvedimenti, non può, di certo, ritenersi efficiente visto che le vittime, spesso, hanno dovuto fare ricorso ai giudici amministrativi per ottenere il riconoscimento dei diritti negato da un’apposita e costosa struttura statale.

In considerazione della Sua serietà ed autorevolezza, ritengo, tuttavia, inspiegabile l’assenza di un pur minimo cenno, nelle medesime dichiarazioni, alle gravissime responsabilità di moltissimi istituti di credito nell’aggravamento della situazione economico-patrimoniale di molte imprese o famiglie e nell’esposizione delle stesse al rischio, dapprima, dell’usura criminale e, poi, magari, del fallimento o della perdita di serenità o della vita di molti imprenditori. Non si può ignorare, infatti, che è da tempo che tantissime imprese sono esposte ai rischi da Lei stesso paventati –o ne hanno già subito le nefaste conseguenze- non solo a causa della recente crisi, bensì, soprattutto, a causa proprio del comportamento degli istituti di credito!!!

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La mia opinione su:”Credito alle imprese e massimo scoperto, pressing di Draghi sulle banche”

Ho letto su Corriere.it le recenti dichiarazioni del Governatore della Banca d’Italia che riporto di seguito.

Credo, tuttavia, e l’ho scritto anche nei miei precedenti post (clicca qui per leggere il mio post del 12  Novembre), che le imprese abbiano non solo bisogno di credito da parte delle banche ma anche di una tutela effettiva e celere di fronte a persistenti pretese di somme non dovute (e sarebbe già un progresso per un Paese che deve riacquistare la massima fiducia dei cittadini nella Giustizia).

Malgrado la giurisprudenza sia ormai unanime nel ribadire il divieto imposto dalla legge di richiedere -soprattutto per il periodo antecedente al 1° Luglio 2000- il pagamento di interessi anatocistici (interessi su interessi), di commissioni di massimo scoperto non validamente pattuite o di altri oneri non validi, molte banche, invece, continuano a presentare ed ottenere ricorsi per decreti ingiuntivi finalizzati ad ottenere il pagamento del saldo di conto corrente lievitato, negli anni, proprio a causa di tali addebiti; pendono, poi, addirittura, migliaia di esecuzioni per espropriazione immobiliare fondate su mutui stipulati all’unico fine di estinguere apparenti posizioni debitorie su conti correnti ma, in realtò, viziate da addebiti di somme che, come detto, la legge sancisce come non dovute; oppure, ancora, esecuzioni fondate su decreti ingiuntivi che, sebbene, magari, non impugnati, hanno ad oggetto una pretesa che, in alcuni casi, potrebbe essere penalmente illecita e che in un’aula di giustizia, a mio avviso, non dovrebbe trovare alcun ausilio.

E’ vero che, all’esito dei giudizi, probabilmente, l’impresa risulterà vittoriosa e sarà accertata l’illegittimità di simili richieste ma è altrettanto nota la durata dei processi in Italia.

Non sono poche le imprese fallite o, comunque, danneggiate anche per colpa di pretese rivelatesi, all’esito delle cause, insussistenti o per crediti inferiori a quelli effettivamente tutelabili. E’ auspicabile, quindi, che il Governatore della Banca d’Italia, dopo le pur apprezzabili, recenti dichiarazioni, raccomandi agli istituti di credito -esercitando ogni sua prerogativa o potere-dovere- di non persistere nelle richieste di pagamento di somme che la legge e la giurisprudenza unanime riconoscono non dovute.

Ne deriverebbe, sono certo, un grande e fondamentale aiuto agli imprenditori -che non sarebbero costretti a chiudere i battenti licenziando i lavoratori, a rivolgersi agli usurai o, addirittura, ad ammazzarsi (ho letto che alcuni imprenditori non hanno avuto il coraggio di mandare a casa i dipendenti)- e, di conseguenza, ne trarrebbe beneficio l’intera economia italiana.

Roberto Di Napoli ( il blog per la difesa dei diritti civili )

Corriere della Sera.it
ROMA – La Banca d’Italia ha «costituito una task force per valutare gli effettivi meccanismi di remunerazione» dei manager bancari «e chiedere correttivi dove necessario». Lo ha annunciato il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi intervenendo all’Assemblea dell’Abi nella quale ha spiegato che, a livello internazionale, il legame con risultati a breve ha favorito una «una falsa Leggi ancora


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Firmiamo tutti insieme per una tutela effettiva delle vittime di usura ed estorsione!

invito petizione

La lettura di vari siti internet, i servizi dedicati da quotidiani e telegiornali (anche nazionali) a casi di usura ed estorsione suscitano l’impressione che, nel corso degli ultimi anni, non sono state poche le vittime che, dopo avere denunciato, si sono trovate prive delle tutela che si aspettavano dallo Stato e dalle Istituzioni. In alcuni casi, addirittura, sono state costrette a rivolgersi ai giudici amministrativi per ottenere il riconoscimento dei diritti previsti dalla legge e che un’apposita struttura dovrebbe assicurare con tempestività senza costringere le vittime, dopo avere denunciato gli usurai o estorsori, a chiedere giustizia anche nei confronti della pubblica amministrazione.

La lentezza sia della giustizia che nella definizione del procedimento per la concessione dei previsti benefici economici, in vari casi, ha non solo aggravato la loro situazione economica ma, addirittura, determinato il paradosso di causare il fallimento dell’imprenditore, con la conseguente distruzione dell’impresa o, finanche, la vendita della propria abitazione a causa della stessa condotta degli imputati.

Credo che, a volte, sarebbe sufficiente l’applicazione del criterio di interpretazione cd. “sistematica” della legge o la riflessione sulla ratio, ossia, sullo scopo che la legge intende perseguire, per applicarla nella maniera più corretta.

In un Paese con un numero elevatissimo di condanne per la durata eccessiva dei processi, si dovrebbe assicurare all’imprenditore- professionista vittima che denuncia gli usurai ed estorsori una pronta tutela per evitare che la sua impresa od attività, nelle more della definizione del procedimento per la concessione dei benefici economici previsti dalla legge, sia distrutta e che, magari, a distruggerla siano gli stessi imputati.

Ho sempre ritenuto che un’applicazione attenta della legge (non solo della normativa speciale cd. antiusura ed antiracket ma, soprattutto, del codice penale, di procedura penale, civile e di procedura civile, della legge fallimentare, ecc.) già consentirebbe di assicurare una tutela efficiente ed evitare alcuni assurdi paradossi che si sono verificati nel corso degli ultimi anni. Più di una volta, infatti, già i giudici amministrativi hanno affermato il principio che i benefici economici di cui alle leggi 44/99 e 108/96 sono dovuti anche all’imprenditore-vittima a cui carico pende una sentenza di fallimento; altre volte i giudici ordinari hanno anche affermato il principio che non può essere dichiarata fallita la vittima che abbia richiesto ed ottenuto il provvedimento di sospensione per trecenti giorni ex art. 20 l. 44/99.

E’ ovvio che se una legge di riforma della normativa vigente può servire a sancire espressamente i diritti già riconosciuti dalla giurisprudenza -in modo da evitare il ripetersi di errori interpretativi contribuendo, così, ad una tutela effettiva delle vittime- essa non può che essere apprezzata. Ho già scritto nei precedenti post che il disegno di legge approvato al Senato ed, attualmente, all’esame della Camera dei Deputati costituisce, di certo, un apparente passo in avanti. Ritengo, tuttavia, che siano necessari alcuni emendamenti al fine di evitare che, ancora una volta, erronee interpretazioni possano rivelarsi dannose per le vittime.

E’ per questo che, come consentito dall’art. 50 della Costituzione e dai Regolamenti parlamentari, ho redatto ed inviato alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati la mia proposta-petizione di emendamenti.

Penso che sarebbe molto utile che non solo ogni vittima ma anche ogni cittadino che condivida la mia proposta la sostenga con un gesto semplicissimo: una firma; un gesto, anzi, che, per i pratici di “internet”, richiede ancora meno tempo rispetto a quello che si impiega per prendere carta e penna.

Vari amici (ma anche persone con cui, ormai, condividiamo lo scambio di opinioni su facebook o sui vari siti e blog) l’hanno fatto un minuto dopo averli avvisati di aver predisposto “l’elenco virtuale”. La mia petizione è già pervenuta alla Camera dei Deputati. Sarebbe utile, però, il sostegno di tutti raccogliendo quante più firme possibile. Ho inserito la mia petizione (oltre che nel precedente post si può leggere anche cliccando qui) sulla piattaforma firmiamo.it

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invito petizione

La lettura di vari siti internet, i servizi dedicati da quotidiani e telegiornali (anche nazionali) a casi di usura ed estorsione suscitano l’impressione che, nel corso degli ultimi anni, non sono state poche le vittime che, dopo avere denunciato, si sono trovate prive delle tutela che si aspettavano dallo Stato e dalle Istituzioni. In alcuni casi, addirittura, sono state costrette a rivolgersi ai giudici amministrativi per ottenere il riconoscimento dei diritti previsti dalla legge e che un’apposita struttura dovrebbe assicurare con tempestività senza costringere le vittime, dopo avere denunciato gli usurai o estorsori, a chiedere giustizia anche nei confronti della pubblica amministrazione. La lentezza sia della giustizia che nella definizione del procedimento per la concessione dei previsti benefici economici, in vari casi, ha non solo aggravato la loro situazione economica ma, addirittura, determinato il paradosso di causare il fallimento dell’imprenditore, con la conseguente distruzione dell’impresa o, finanche, la vendita della propria abitazione a causa della stessa condotta degli imputati. Credo che, a volte, sarebbe sufficiente l’applicazione del criterio di interpretazione cd. “sistematica” della legge o la riflessione sulla ratio, ossia, sullo scopo che la legge intende perseguire, per applicarla nella maniera più corretta. In un Paese con un numero elevatissimo di condanne per la durata eccessiva dei processi, si dovrebbe assicurare all’imprenditore- professionista vittima che denuncia gli usurai ed estorsori una pronta tutela per evitare che la sua impresa od attività, nelle more della definizione del procedimento per la concessione dei benefici economici previsti dalla legge, sia distrutta e che, magari, a distruggerla siano gli stessi imputati. Ho sempre ritenuto che un’applicazione attenta della legge (non solo della normativa speciale cd. antiusura ed antiracket ma, soprattutto, del codice penale, di procedura penale, civile e di procedura civile, della legge fallimentare, ecc.) già consentirebbe di assicurare una tutela efficiente ed evitare alcuni assurdi paradossi che si sono verificati nel corso degli ultimi anni. Più di una volta, infatti, già i giudici amministrativi hanno affermato il principio che i benefici economici di cui alle leggi 44/99 e 108/96 sono dovuti anche all’imprenditore-vittima a cui carico pende una sentenza di fallimento; altre volte i giudici ordinari hanno anche affermato il principio che non può essere dichiarata fallita la vittima che abbia richiesto ed ottenuto il provvedimento di sospensione per trecenti giorni ex art. 20 l. 44/99. E’ ovvio che se una legge di riforma della normativa vigente può servire a sancire espressamente i diritti già riconosciuti dalla giurisprudenza -in modo da evitare il ripetersi di errori interpretativi contribuendo, così, ad una tutela effettiva delle vittime- essa non può che essere apprezzata. Ho già scritto nei precedenti post che il disegno di legge approvato al Senato ed, attualmente, all’esame della Camera dei Deputati costituisce, di certo, un apparente passo in avanti. Ritengo, tuttavia, che siano necessari alcuni emendamenti al fine di evitare che, ancora una volta, erronee interpretazioni possano rivelarsi dannose per le vittime. E’ per questo che, come consentito dall’art. 50 della Costituzione e dai Regolamenti parlamentari, ho redatto ed inviato alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati la mia proposta-petizione di emendamenti. Penso che sarebbe molto utile che non solo ogni vittima ma anche ogni cittadino che condivida la mia proposta la sostenga con un gesto semplicissimo: una firma; un gesto, anzi, che, per i pratici di “internet”, richiede ancora meno tempo rispetto a quello che si impiega per prendere carta e penna. Vari amici (ma anche persone con cui, ormai, condividiamo lo scambio di opinioni su facebook o sui vari siti e blog) l’hanno fatto un minuto dopo averli avvisati di aver predisposto “l’elenco virtuale”. La mia petizione è già pervenuta alla Camera dei Deputati. Sarebbe utile, però, il sostegno di tutti raccogliendo quante più firme possibile. Ho inserito la mia petizione (oltre che nel precedente post si può leggere anche cliccando qui) sulla piattaforma firmiamo.it.

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La lettura di vari siti internet, i servizi dedicati da quotidiani e telegiornali (anche nazionali) a casi di usura ed estorsione suscitano l’impressione che, nel corso degli ultimi anni, non sono state poche le vittime che, dopo avere denunciato, si sono trovate prive delle tutela che si aspettavano dallo Stato e dalle Istituzioni. In alcuni casi, addirittura, sono state costrette a rivolgersi ai giudici amministrativi per ottenere il riconoscimento dei diritti previsti dalla legge e che un’apposita struttura dovrebbe assicurare con tempestività senza costringere le vittime, dopo avere denunciato gli usurai o estorsori, a chiedere giustizia anche nei confronti della pubblica amministrazione. La lentezza sia della giustizia che nella definizione del procedimento per la concessione dei previsti benefici economici, in vari casi, ha non solo aggravato la loro situazione economica ma, addirittura, determinato il paradosso di causare il fallimento dell’imprenditore, con la conseguente distruzione dell’impresa o, finanche, la vendita della propria abitazione a causa della stessa condotta degli imputati. Credo che, a volte, sarebbe sufficiente l’applicazione del criterio di interpretazione cd. “sistematica” della legge o la riflessione sulla ratio, ossia, sullo scopo che la legge intende perseguire, per applicarla nella maniera più corretta. In un Paese con un numero elevatissimo di condanne per la durata eccessiva dei processi, si dovrebbe assicurare all’imprenditore- professionista vittima che denuncia gli usurai ed estorsori una pronta tutela per evitare che la sua impresa od attività, nelle more della definizione del procedimento per la concessione dei benefici economici previsti dalla legge, sia distrutta e che, magari, a distruggerla siano gli stessi imputati. Ho sempre ritenuto che un’applicazione attenta della legge (non solo della normativa speciale cd. antiusura ed antiracket ma, soprattutto, del codice penale, di procedura penale, civile e di procedura civile, della legge fallimentare, ecc.) già consentirebbe di assicurare una tutela efficiente ed evitare alcuni assurdi paradossi che si sono verificati nel corso degli ultimi anni. Più di una volta, infatti, già i giudici amministrativi hanno affermato il principio che i benefici economici di cui alle leggi 44/99 e 108/96 sono dovuti anche all’imprenditore-vittima a cui carico pende una sentenza di fallimento; altre volte i giudici ordinari hanno anche affermato il principio che non può essere dichiarata fallita la vittima che abbia richiesto ed ottenuto il provvedimento di sospensione per trecenti giorni ex art. 20 l. 44/99. E’ ovvio che se una legge di riforma della normativa vigente può servire a sancire espressamente i diritti già riconosciuti dalla giurisprudenza -in modo da evitare il ripetersi di errori interpretativi contribuendo, così, ad una tutela effettiva delle vittime- essa non può che essere apprezzata. Ho già scritto nei precedenti post che il disegno di legge approvato al Senato ed, attualmente, all’esame della Camera dei Deputati costituisce, di certo, un apparente passo in avanti. Ritengo, tuttavia, che siano necessari alcuni emendamenti al fine di evitare che, ancora una volta, erronee interpretazioni possano rivelarsi dannose per le vittime. E’ per questo che, come consentito dall’art. 50 della Costituzione e dai Regolamenti parlamentari, ho redatto ed inviato alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati la mia proposta-petizione di emendamenti. Penso che sarebbe molto utile che non solo ogni vittima ma anche ogni cittadino che condivida la mia proposta la sostenga con un gesto semplicissimo: una firma; un gesto, anzi, che, per i pratici di “internet”, richiede ancora meno tempo rispetto a quello che si impiega per prendere carta e penna. Vari amici (ma anche persone con cui, ormai, condividiamo lo scambio di opinioni su facebook o sui vari siti e blog) l’hanno fatto un minuto dopo averli avvisati di aver predisposto “l’elenco virtuale”. La mia petizione è già pervenuta alla Camera dei Deputati. Sarebbe utile, però, il sostegno di tutti raccogliendo quante più firme possibile. Ho inserito la mia petizione (oltre che nel precedente post si può leggere anche cliccando qui) sulla piattaforma firmiamo.it.


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Alle vittime di usura ed estorsione serve una tutela effettiva! Ho inviato la mia petizione al Parlamento. Ecco cosa suggerisco:( di Roberto di Napoli )

Quando si parla di usura ed estorsione, una affermazione che, costantemente, si legge o si ascolta da vari “soggetti” è l’insufficiente numero di denunce. Penso, invece, che le vittime denuncino e sarebbero, anzi, ancora, più numerose e pronte a denunciare se avessero la sicurezza di una tutela effettiva e in tempi ragionevoli! Penso che chi continui a sostenerne il numero esiguo rispetto alla vastità del fenomeno dovrebbe, innanzitutto, avviare delle indagini accertando il numero e la data di presentazione delle denunce -magari, anche leggendo le motivazioni di alcune ordinanze di archiviazione- e valutare la durata dei procedimenti finalizzati alla concessione dei benefici promessi dallo Stato; dovrebbe, poi, leggere sia le varie, disperate richieste d’aiuto inviate da quelle vittime che, denunciando e chiedendo i benefici di cui alla normativa antiusura ed antiracket, hanno creduto e vogliono continuare a credere allo Stato e alle Istituzioni sia, infine, le risposte (se ci sono) delle Prefetture o dell’ufficio del Commissario Straordinario del Governo e del Comitato di solidarietà. Ci sono stati casi (troppi, a mio avviso) nei quali le vittime (vd. caso “Orsini”, caso “Di Napoli”, caso “De Masi”) si sono dovuti rivolgere al giudice amministrativo per vedersi riconosciuto ciò che  un Paese civile e un’apposita struttura -i cui costi gravano su tutti i contribuenti, tra cui, proprio le vittime- dovrebbero assicurare con la massima tempestività!

L’impressione che ho avuto leggendo il disegno di legge di riforma della normativa antiusura (cliccare qui per leggere il testo) è che ci sia stato il tentativo (anche recependo principi ribaditi dai giudici amministrativi) di tutelare maggiormente la vittima. Sono stati inseriti, tuttavia, degli aggettivi e delle condizioni che, a mio avviso, oltre a poter determinare, nuovamente, equivoci dannosi per la vittima (non va dimenticato che quest’ultima, dopo aver presentato la denuncia, spesso, è da sola e deve far fronte a notevoli difficoltà, soprattutto, economiche), possono rendere vano ogni sforzo e, di fatto, esporre la normativa alle stesse difficoltà interpretative (a volte, interpretazioni “paradossali”) che si sono registrate negli ultimi anni lasciando l’imprenditore- vittima disperato e senza alcun aiuto effettivo.
Avvalendomi della “quota di potere sovrano” attribuita dall’art. 1 della Costituzione e di quanto sancito dall’art. 50 Cost., secondo cui “Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità”, ho ritenuto di inviare al Presidente della Camera dei Deputati, alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati e ai suoi vari membri una petizione- proposta di emendamenti (cliccare qui per leggere il testo integrale e i motivi) al disegno di legge n. 307 approvato al Senato (cliccare qui per leggere il testo del ddl n. 307 Senato) e, ora, all’esame della Commissione Giustizia della Camera.
Riassumo, sinteticamente, ciò che ho proposto:


1 Commento

Riforma della legge antiusura: sarebbe opportuna una piccola modifica …. per evitare ogni equivoco!

La lettura del disegno di legge di riforma della normativa antiusura ed antiracket di cui alle leggi 108/96 e 44/99, così come approvato al Senato il 1° Aprile scorso (per un errore nella ricerca del testo all’interno del sito del Senato -sito, secondo me, non proprio agevole nella ricerca dei testi normativi-, avevo letto e pubblicato, nel mio ultimo post, il testo precedente a quello trasmesso alla Camera) manifesta, evidentemente, l’intenzione del legislatore di superare le difficoltà interpretative che sono emerse nel corso del decennio dall’entrata in vigore della legge 108/96 e di colmare le lacune normative che, di certo, non hanno agevolato le vittime. Mi conforta, in particolare, rispetto alle perplessità che avevo manifestato leggendo il testo del disegno di legge precedente a quello approvato e, ora, trasmesso all’altro ramo del Parlamento, la modifica dell’art. 20 l. 44/99.

Credo che sia condivisibile la scelta di attribuire al Procuratore della Repubblica la competenza a decidere sulla sospensione delle esecuzioni a carico della vittima che abbia richiesto l’accesso al Fondo. E’ stato previsto, infatti, all’art. 2 del disegno di legge, che il comma settimo dell’art. 20 l. 44/99 – in caso ovviamente di approvazione da parte della Camera- è sostituito dal seguente: “Le sospensioni dei termini di cui ai commi 1, 3 e 4 e la proroga di cui al comma 2 hanno effetto a seguito del parere favorevole del Procuratore della Repubblica competente per le indagini in ordine ai delitti che hanno causato l’evento lesivo di cui all’articolo 3, comma 1. In presenza di più procedimenti penali che riguardano la medesima parte offesa, anche ai fini delle sospensioni e della proroga anzidette, è competente il procuratore della Repubblica del procedimento iniziato anteriormente“. Pur apprezzando la scelta del legislatore, sarebbe, però, auspicabile, a mio avviso, che il termine “parere” (utilizzato per indicare l’atto che dovrebbe emanare il Procuratore della Repubblica a seguito del quale ” (..) hanno effetto” le sospensioni dei termini o la proroga) sia sostituito con il termine “provvedimento“.

Se lo scopo perseguito dal legislatore, infatti, è stato quello di modificare -rispetto a quella prevista finora – la competenza sulle decisioni in merito alle sospensioni delle esecuzioni a carico della vittima e di prevedere l’automaticità di tali benefici in seguito al parere favorevole del Procuratore della Repubblica, tale intento potrebbe essere vanificato dagli stessi equivoci che, talvolta, anche dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 457/2005, sono stati determinati -secondo me, comunque, irragionevolmente- dall’utilizzo del termine “parere” contenuto nell’art. 20 l. 44/99.

Pur dopo la sentenza della Consulta, che si è limitata ad espungere dalla norma l’aggettivo “favorevole” per evitare (come accadeva anteriormente alla pronuncia) che il parere del Prefetto potesse intendersi come vincolante rispetto alla decisione del Presidente del Tribunale, si è registrato, in questi tre anni, accanto ad un orientamento giurisprudenziale (secondo me, il più corretto e conforme alla ratio della legge) che ritiene l’automaticità della sospensione richiesta dalla vittima-esecutata purché vi sia stato un parere concorde sia del Prefetto sia del Presidente del Tribunale (cui, in seguito alla predetta sentenza della Corte Costituzionale, spetterebbe la parola definitiva), un altro orientamento che ritiene, perfino, entrambi i pareri (sia quello del Presidente del Tribunale sia quello del Prefetto) non vincolanti rispetto alla decisione che spetterebbe, secondo tale filone interpretativo, al solo giudice dell’esecuzione. Tale interpretazione, a mio avviso, è contraria alla ratio della normativa speciale e non considera che, così opinando, la norma di cui all’art. 20 l. 44/99 sarebbe inutile e superflua dal momento che, già ai sensi dell’art. 624 cod. proc. civ., la vittima potrebbe domandare la sospensione dell’esecuzione a suo carico “per gravi motivi” (per leggere le mie osservazioni in merito all’interpretazione dell’art. 20 l. 44/99 nel testo vigente dopo la sent. Corte Cost. 457/2005, clicca qui). Pur condividendo il disegno di legge di riforma laddove (sempre, ovviamente, nel caso in cui dovesse essere confermato dalla Camera nel testo approvato, giorni fa, al Senato) si prevede la competenza del Procuratore della Repubblica, credo, quindi, che sarebbe opportuna la sostituzione del termine “parere” con quello di “provvedimento“.

Si verificherebbe, diversamente, un contrasto (anche nell’espressione letterale) tra quanto sancito al comma settimo dell’art. 20 sopra ricordato (“Le sospensioni dei termini …..e la proroga …. hanno effetto a seguito del parere favorevole del Procuratore della Repubblica ….”) e quanto, invece, previsto nel comma 7 bis che verrebbe introdotto dalla legge di riforma. Tale ultimo comma, infatti, dopo aver previsto che il Prefetto, ricevuta la richiesta di elargizione ” (…) compila l’elenco delle procedure esecutive in corso a carico del richiedente e informa senza ritardo il Procuratore della Repubblica competente“, con un’espressione che, secondo me, ripeto, potrebbe, di nuovo, determinare equivoci nell’interpretazione e che, dunque, si porrebbe in contrasto con l’effetto automatico della sospensione che sembrerebbe derivare dal solo parere favorevole del Procuratore, prevede che quest’ultimo “trasmette il parere al giudice, o ai giudici, dell’esecuzione entro sette giorni dalla comunicazione del prefetto”. Se, da una parte, dunque, il settimo comma prevede, con chiarezza, che i benefici della sospensione in favore della vittima “(…) hanno effetto in seguito (…)” al parere favorevole del Procuratore, dall’altra, l’ulteriore utilizzo, nel comma successivo, del termine “parere” per indicare l’atto che verrebbe trasmesso al Giudice dell’esecuzione, potrebbe, a mio avviso, determinare nuovamente equivoci o interpretazioni non corrette della norma che (come avvenuto negli ultimi anni) potrebbero ritardare o, perfino, negare quel beneficio che, per particolari motivi, il legislatore, invece, vorrebbe assicurare alla vittima in attesa di ricevere il sussidio da parte dello Stato.

Spero che alla Camera dei Deputati (dove è stato trasmesso il disegno di legge) si prenda atto dell’apparente contrasto tra i due commi e il termine “parere” sia sostituito con quello di “provvedimento“: una maggiore chiarezza della norma garantirebbe la vittima da ogni discrezione e da possibili diversità di trattamento (per esempio: rispetto allo stesso fatto estorsivo per il quale il Procuratore della Repubblica si è espresso favorevolmente alla sospensione, se tale atto non fosse vincolante e dovesse ritenersi un mero “parere“, potrebbe accadere che giudici delle esecuzioni diversi emettano contrastanti provvedimenti di accoglimento o di rigetto della domandata sospensione); assicurerebbe, infine, una tutela più efficiente dei suoi diritti fondamentali alla proprietà, al diritto di impresa e all’inviolabilità del domicilio nell’attesa di ottenere i benefici economici previsti all’esito di un procedimento che, in questi anni, si è rivelato particolarmente lungo e, spesso, di durata ben superiore rispetto a quella prevista dalla normativa.

Roberto Di Napoli


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Riforma della legge antiusura. Un passo in avanti ma non basta:le vittime vogliono tutela concreta e il rispetto delle sentenze!

usura3-ed4aaL’approvazione, da parte del Senato, del disegno di legge di riforma della normativa antiusura ed antiracket (cliccare qui per leggere il testo), a prima vista, dovrebbe dare fiducia alle vittime finora non tutelate efficacemente dallo Stato ma, in realtà, appare poco idoneo a risolvere le reali difficoltà cui esse si trovano esposte fino al momento di erogazione dei benefici economici previsti dalla legge.

Le vittime, una volta colto l’invito dello Stato -e, fra l’altro, il dovere morale di cittadini onesti, di denunciare l’usuraio e l’estorsore- non devono rimanere prive di tutela.

Non basta promettere il mutuo o l’elargizione se, poi, non si consente alla vittime nemmeno di dormire per il terrore di vedersi sbattuti fuori casa dall’ufficiale giudiziario e dalle Forze dell’Ordine!

La modifica dell’art. 20 della legge 44/99 o delle altre disposizioni riguardanti la concessione del mutuo o dell’elargizione, pur se positiva sotto alcuni aspetti, non risolve i veri problemi della vittima nè fa fronte alle esigenze che si rivelano immediate dopo aver denunciato l’usuraio o l’estorsore. Pur dopo la sentenza della Corte Costituzionale, sarebbe stato sufficiente lasciare la norma invariata, ossia, nel testo ritenuto corretto dalla Consulta e, al massimo, chiarire l’automaticità delle sospensioni delle esecuzioni in seguito -conditio sine qua non- al parere conforme del Presidente del Tribunale e del Prefetto. In difetto delle auspicate correzioni alla Camera, non si comprende quale sia l’agevolazione per la vittima che già potrebbe, attualmente, domandare la sospensione ex art. 624 cod. proc. civ.”per gravi motivi”. Col testo approvato al Senato, invece, il Presidente del Tribunale dovrebbe sentire il Prefetto e il Giudice dell’Esecuzione (o, meglio, come prevede la norma: “il giudice delegato per le procedure esecutive o concorsuali”).

Basterebbe esaminare il tempo, finora, necessario, dalla domanda di sospensione da parte della vittima fino al provvedimento, per rendersi conto delle difficoltà.

Quanto tempo comporterebbe, poi, l’acquisizione del parere del giudice dell’esecuzione (che sarà quello del luogo dove pende l’esecuzione) da parte del Presidente del Tribunale competente (che, invece, è quello del luogo dove pende il procedimento penale)? E, poi, ancora: la vittima, se riceve più di un precetto o di un atto di pignoramento, magari su beni mobili e immobili o situati in luoghi diversi (con giudici differenti), deve presentare diverse istanze  che comportano l’esame da parte di Prefetto, Presidente del Tribunale e giudici delle esecuzioni diversi e sparsi in ogni parte d’Italia?

Credo che il testo di legge, così come approvato dal Senato, necessiti di ulteriori emendamenti da parte della Camera. Andrebbe assicurata, poi, maggiore celerità nella definizione del procedimento volto a concedere i benefici economici e introdotti ulteriori requisiti per garantire la massima professionalità nella nomina a membro del Comitato di solidarietà o di Commissario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket.

Ci sono stati, in questi anni, troppi casi di imprenditori-vittime che si sono dovuti rivolgere ai giudici amministrativi per vedersi riconosciuto quello che dovrebbe essere loro garantito con la massima celerità da parte di una struttura -costosa per l’erario- che, invece, più di una volta, ha sostenuto “teoremi” che si sono rivelati abnormi o, comunque, errati davanti ai giudici: ciò, però, non incentiva, di certo, gli imprenditori a denunciare! Si è giunti, perfino, a sostenere che se a carico della vittima pende un fallimento, quest’ultima non possa ottenere i benefici economici (cliccare qui per leggere il mio post e vedere il servizio del TG5 sul caso di una vittima di usura e … di tale “teoria” prima della sentenza del Tar che, ovviamente, l’ha riconosciuta errata) .

Il TAR Puglia, ovviamente, ha smentito tale singolare teoria di un precedente Commissario del Governo (Ferrigno): l’imprenditore, intanto, non solo è stato sbattuto fuori casa insieme alla sua famiglia ma, tuttora, malgrado la sentenza del Tar gli abbia dato ragione ordinando al Commissario del Governo (quello attuale) e al Comitato di solidarietà di erogare i benefici economici richiesti, sebbene sia trascorso un anno dalla notifica della sentenza (non impugnata), non ha ricevuto un centesimo e rischia un secondo sfratto.

Ha dovuto, perfino, notificare un precetto e un atto di pignoramento al Commissario del Governo e al Ministero degli Interni. Non è questa, però, la tutela che chiedono le vittime e gli imprenditori, soprattutto, se colui che è iscritto nel registro degli indagati è un rappresentante di un istituto di credito: ciò significa che l’imprenditore, in questi casi, non avrà nemmeno accesso al normale mercato creditizio ed è maggiormente esposto al rischi di doversi rivolgere ai cravattari!!!

Auspico, pertanto, una correzione del testo da parte della Camera. Se si vuole tutelare davvero la vittima e consentirle, tra l’altro, la ripresa dell’attività economica è necessario, prima ancora, che siano previste misure immediate per permettergli, dopo avere denunciato, di vivere dignitosamente in attesa dei benefici economici previsti dalla legge ma per i quali, di fatto, le vittime attendono anni prima di ottenere (quando lo ottengono) un centesimo.

Roberto Di Napoli


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«Sul carcere decidano tre giudici, non uno». Condivido la proposta ma non basta!

Pur non condividendo in pieno, in genere, le proposte del Pd ma auspicando serie riforme della giustizia che non si riducano all’aumento delle risorse economiche o del personale (ritengo ciò, certamente, importante ma non fondamentale dal momento che, a mio avviso, vi sono vari sprechi anche nei Tribunali: dalle perizie, spesso, pagate oltre il giusto dovuto ai termosifoni accesi fino a temperatura tale da far sentire gli utenti ai Tropici …. alla faccia delle vittime della malagiustizia o dei difensori col patrocinio a spese dello Stato che devono attendere anni prima di avere i loro compensi), condivido la recente proposta avanzata da un esponente Pd di istituire un organo collegiale sulle decisioni in tema di misure cautelari personali e spero, vivamente, che venga approvata.
Sarebbe una garanzia maggiore per la libertà dei cittadini e non comprendo quale problema possa essere ragionevolmente avanzato per ostacolare tale riforma dell’organo che decide su un diritto fondamentale della persona umana quale è quello della libertà.
Ritengo, però, che sia giunta l’ora di affrontare anche altre questioni che possono essere superate solo con una modifica seria della disciplina vigente. Mi riferisco, in particolare, alla modifica dell’attuale legge sulla responsabilità civile del magistrato, alla modifica della disciplina del foro competente territorialmente, ossia, del giudice che deve giudicare quando un collega magistrato è attore o convenuto in un giudizio oppure, nei procedimenti penali, imputato o persona offesa. E’, infatti, a mio avviso, insufficiente a fugare ogni dubbio di imparzialità l’attuale disciplina di cui all’art. 11 c.p.p. secondo cui, in seguito ad una modifica del 1998, a giudicare il magistrato persona offesa o imputato è il Tribunale di un luogo diverso rispetto a quello in cui esercita le funzioni, individuato in quello previsto da una tabella prefissata e invariabile (es: sui magistrati di Roma, competenti sono i giudici di Perugia; su quelli di Catanzaro quelli di Salerno, su quelli di Milano i colleghi di Brescia, ecc.).
E’ ovvio, infatti, che, col tempo, la ratio può essere vanificata: a maggior ragione se i distretti in cui ha sede il giudice competente sono vicini e ……. invariabili.
Credo che, nell’attuale era di internet e dell’informatica, sarebbe più conforme ad assicurare l’imparzialità e l’apparenza di imparzialità un sistema informatico, ad esempio, che, volta per volta, magari al momento della conoscenza della notitia criminis da parte della polizia giudiziaria o dell’organo inquirente, individui l’autorità giudiziaria competente per territorio cui trasmettere la notitia. Ovvio che, in tal caso, dovrebbe costituire indispensabile “corollario” o “appendice” (sempre a garanzia dell’imparzialità) una norma che obblighi, con sanzioni severe in caso di violazione, l’autorità che, per prima, abbia avuto conoscenza del fatto ad aprire il procedimento immediatamente e a richiedere l’individuazione del giudice competente: ciò per evitare che sorga il minimo sospetto che si possa “interrogare” più di una volta il sistema informatico facendo una specie di “forum shopping
Nel sistema vigente, ho apprezzato molto la lettura di un’ordinanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale con la quale il Tribunale di Ferrara ha, recentemente, sollevato la questione di legittimità costituzionale del vigente art. 11 c.p.p. laddove non prevede che soggetti ad un giudice territorialmente diverso siano anche i parenti del magistrato che esercita funzioni nel luogo dove dovrebbero essere giudicati secondo le norme ordinarie. Spero che la Consulta, accogliendo la questione sollevata, dichiari incostituzionale la norma suddetta. Sarebbe già un ottimo passo in avanti a garanzia dell’immagine di assoluta imparzialità e prestigio di cui la magistratura deve godere presso l’opinone pubblica!!!
Sarebbe, poi, correttissimo se, anche in Italia, si imitasse un sistema vigente in uno Stato dove, addirittura, i magistrati appaiono alla cittadinanza lontani da ogni sospetto di parzialità in quanto, dopo un certo numero di anni, vengono trasferiti  in luogo diverso in modo che non possa sorgere alcun rapporto di amicizia che possa destare sospetti. Non credo, però, che questo straordinario sistema possa essere imitato: lo Stato in cui è adottato e descritto da Tommaso Moro circa mezzo millennio fa, infatti, si chiama ……. Utopia.
Nel mio (pur involontario) “status” di cittadino della Repubblica Italiana e, dunque, titolare pro quota della sovranità di cui all’art. 1 Cost. s

Corriere della Sera.it
ROMA — «Bene, alla fine è stata evitata un’ingiustizia contro Margiotta… Però è arrivata l’ora di affidare le decisioni sulla custodia cautelare a un collegio di magistrati e non più a un solo giudice». Lanfranco Tenaglia, ex magistrato, già consigliere togato del Csm, ora ministro ombra del Pd per la giustizia, ha solidi argomenti per lanciare una proposta al Pdl che potrebbe essereLeggi ancora


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Tremonti:«Se le banche falliscono banchieri a casa.. o in galera».La mia opinione:”…Tanti dovrebbero stare già da tempo” ( di Roberto di Napoli )

ParlamentoLa dichiarazione odierna del Ministro Tremonti non può che essere apprezzata e costituire un motivo di speranza per quanti, risparmiatori, consumatori o imprenditori, hanno subito i più gravi soprusi da parte delle banche. La precisazione del Ministro dell’Economia secondo cui i prossimi interventi statali devono essere intesi quali aiuti a tutela del risparmio e non delle banche e che, in caso di fallimento degli istituti di credito, i manager devono andare o a casa o in galera, sarebbe, tuttavia, ancora più apprezzabile se il Ministro prendesse atto che l’attuale crisi in Italia è aggravata anche da altri fatti che costituirebbero il presupposto, già ora, per mandare in galera vari manager se la Giustizia funzionasse correttamente. L’economia italiana nonchè migliaia di famiglie sono state e sono, infatti, gravemente danneggiate a causa di pretese che, sebbene la parte sana, imparziale, onesta e preparata della magistratura, da oltre un decennio, ritiene illegittime, le banche continuano ad avanzare nei confronti delle imprese, di certo, più deboli rispetto alla potenza dei colossi bancari e ai conflitti di interesse presenti in molti magistrati quando si trovano a giudicare. La legittimità di tali pretese, purtroppo, non sempre viene vagliata dai giudici tempestivamente e prima che danneggino gli imprenditori o i clienti bancari.

Le banche, infatti, abusando di una norma (art. 50 d.lgs 385/1993) e certificando quali “certi, liquidi ed esigibili” crediti che, invece, tutto sono tranne che certi visto che, spesso, poi, si rivelano infondati all’esito del giudizio (molte volte eccessivamente lungo con costi anche per lo Stato), riescono, spesso, ad ottenere decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi sufficienti a distruggere un’impresa -con conseguente licenziamento dei dipendenti- o a distruggere la serenità, la salute e la dignità di una persona o di famiglie.

Non può essere dimenticato -e il Ministro dell’Economia e della Giustizia sanno benissimo- che, nonostante sin dal 1999, la giurisprudenza unanime continua a ribadire il divieto di interessi su interessi, delle commissioni di massimo scoperto non validamente pattuite e il diritto alla restituzione di quanto ingiustamente pagato dalle imprese nel corso del rapporto, le banche, probabilmente certe dell’impunità e della loro onnipotenza, continuano, indisturbate, a richiedere decreti ingiuntivi o istanze di fallimento. A concederli, più di una volta, sono stati magistrati in situazioni, a mio avviso, simili o forse più gravi dei conflitti di interesse di cui quotidianamente si accusa trovarsi Berlusconi o chi, comunque, è stato eletto dal popolo.

Posso fornire la prova, infatti, di una sentenza di fallimento emessa, alcuni anni fa, da un collegio composto da un magistrato parte mutuataria (al 4% circa nel 1999), e da un altro giudice, invece, correntista, di quelle stesse banche (rapppresentate da funzionari indagati per usura ed estorsione) che la richiedevano; è nota e, qualche volta, pubblicizzata anche negli uffici giudiziari l’esistenza di convenzioni tra determinate banche e magistrati che, solo per questo motivo, avrebbero l’obbligo, piuttosto che giudicare laddove parte è quella banca, di astenersi e far assegnare la causa ad altro giudice.

Solo per avere un’idea di quanto incide il solo addebito di interessi su interessi e di come, spesso, il saldo del conto corrente (soprattutto relativi a rapporti sorti prima del 2000) non coincide con quello che la legge e la giurisprudenza ritengono lecito, faccio un esempio ipotizzando un tipico contratto di conto corrente con apertura di credito ad un tasso “normale” fino a non molti anni fa: l’utilizzo di un affidamento di 100.000.000 di vecchie lire al tasso del 20% annuo dovrebbe diventare, in dieci anni, circa trecentomilioni di vecchie lire; secondo i calcoli della banca, ossia, a causa dell’anatocismo, ne diventerebbero oltre settecento; in vent’anni, si trasformerebbero in oltre un miliardo; se si applica anche la commissione di massimo scoperto dell’1% diventano oltre quattromiliardi.

Si pensi a quante imprese fatte fallire, a quante persone o famiglie, ancora oggi, private della serenità e a quanti mutui con ipoteca immobiliare stipulati per coprire debiti, in realtà, insussistenti verso le stesse banche. La pretesa di somme non dovute con la minaccia di azioni legali esercitate per fini diversi da quelli consentiti dall’ordinamento costituisce l’elemento di un grave reato. Sarebbe sufficiente, dunque, Illustre Ministro, che i giudici applicassero severamente le leggi già esistenti per spedire in galera o per mandare a casa -sospendendone le funzioni – vari dirigenti che, ancora in circolazione, continuano, invece, a contribuire alla crisi dell’economia e alla distruzione di tante imprese e famiglie. Sono sicuro che se le banche fossero costrette a rinunciare a pretese illecite e se gli amministratori o direttori fossero severamente puniti -previa sospensione delle funzioni- in caso di richiesta di somme non dovute, si otterrebbero benefici, innanzitutto, nel funzionamento della giustizia civile (e, in primo luogo, nel settore delle esecuzioni immobiliari e mobiliari che verrebbe “depurato” a vantaggio, anche in termini di durata delle procedure, dei creditori effettivi ed onesti); ne deriverebbe, inoltre, di sicuro, un sensibile rilancio dell’economia e della voglia degli imprenditori di “fare impresa” con garanzia della certezza del diritto piuttosto che dell’impunità di tanti estorsori ed usurai impuniti.

Roberto Di Napoli

Corriere della Sera.it
ROMA – Lo strumento allo studio del governo per finanziare l’economia e aiutare il sistema bancario ad affrontare la crisi dei mercati sarà quello dell’emissione da parte del Tesoro di prestiti obbligazionari. Lo ha detto il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, durante un’audizione al Senato, sottolineando che la misura entrerà nel prossimo decreto in via di emanazione. «Uno strumento – Leggi ancora