LA CONOSCENZA RENDE LIBERI

per favorire l'incontro di idee anche diverse


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Riassumendo gli eventi di questi giorni, la morale é: niente sesso senza Protezione!

Leggere giornali e vedere i TG di RAISET in questi giorni è quasi più divertente che leggere le intercettazioni.

Dal Pompiere della Sera a Scodinzolini è tutto un minimizzare la storiaccia di Bertoladro entro i confini di una infima, minore questione di sesso a pagamento. Pochi ricordano che il sant’uomo è stato anch’egli fra gli utilizzatori finali di qualche velina, che ha a suo tempo raccontato di aver frequentato anche lui nei festini del sultano.

Del resto abituati a nascondere le decine di serate berlusconiane con coca veline e lettoni di Putin, nascondere le mignotte di Bertolaso e company è un gioco da ragazzi.

Feltri in questo sport raggiunge vette inimmaginabili, nasconde per due giorni le notizie della tangentopoli milanese poi dice serafico che “su Bertolaso pare non esserci nulla”, non come sulla omosessualità di Boffo vero?

Il suo collega comico Belpietro invece si dilunga sul nazionalismo romantico ed orgoglioso tipo “armiamoci e partite ” della migliore mitologia fascista :”L’Italia deve molto a quest’uomo. Se non ci fosse stato Bertolaso, i terremotati de L’Aquila sarebbero ancora nelle tende o nei container”. Invece sono solo  in albergo, in giro per parenti ed amici circa 50.000 persone ancora e L’Aquila è in macerie come il giorno del terremoto, come quella notte che mentre la terra tremava loro pregustavano affari ridendo. Fottuti bastardi.

Il Foglio seguendo evidentemente il pensiero del Cardinal Ruini consiglia di “chiudere la patta” ai potenti puttanieri.

Nessuno dice che c’è ben altro, che queste storie di corruzione costano ai contribuenti 60 miliardi l’anno, fonte Corte dei Conti.

Macché…Vespa parla di Morgan, 5  TG su 6 parlano della neve a Roma ed in Sardegna, mezz’ora sul cuore di Clinton , qualcuno accenna alla tesi difensiva su tale Francesca massaggiatrice ( ma della brasiliana Manuela tutti tacciono …) e quelle poche trasmissioni che potrebbero parlarne, fra qualche giorno dovranno chiudere.

Sarà perché tra i tanti anche Diego Masi, direttore RAI, è entrato nell’inchiesta Bertolaso?

Nessuno si accorge che in Lombardia sembra tornata la stagione di Mani pulite e che molti mariuoli alla Mario Chiesa ( Prosperini, Gariboldi, Pennini) preannunciano la riapertura della pentola maleodorante del potere destra-cl imperniato su Formigoni.

Come si addice al motore economico di Berlusconia, del resto, tengono alta la fiaccola della corruzione.

Moratti Formigoni ed i finti popolani leghisti vantano in tv la bontà del loro sistema ( anche allora lo facevano i socialisti con la Milano da bere, fino al giorno prima di mani pulite…)

L’eccellente sistema lombardo, quello degli scandali sanitari più sanguinosi, quello delle cliniche private più ciniche che prendono somme superiori 4 volte a quelle destinate agli ospedali pubblici ma che non hanno gli stessi doveri di copertura del territorio e scelgono i settori medici più convenienti. La solita storia : il capitalismo all’italiana dove finti imprenditori fanno i furbetti coi soldi pubblici…e si lamentano pure, ne vorrebbero di più!

Insomma un capitalismo becero fatto coi soldi di tutti ed a profitto di pochi, un capitalismo fondato sulle opere in emergenza e sulla corruzione senza controlli.

Un capitalismo di mignotte rappresentate a tutti i livelli, ficcate dappertutto, dalle massaggiatrici alle presentatrici tv, fino  alle ministre.

Gasparri pare abbia proposto, per disbrigare il traffico, un nuovo apposito Ministero delle mignotte . Quando ha visto che agli altri ministri ridevano non ha capito bene il motivo della loro strana reazione ed ha insistito imperterrito sulla proposta. Lui parlava sul serio…

Crazyhorse70


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Difendiamo la Costituzione : sabato 30 gennaio SIT IN davanti alle prefetture di tutta Italia

Bandiere italiane, bandiere viola, copie della Costituzione, uomini sandiwch con gli articoli della legge fondamentale italiana, letture collettive del testo costituzionale……ecco  cosa vedrete sabato in molte città italiane.

Sabato 30 gennaio 2010

SIT-IN davanti alle prefetture

per difendere la Costituzione da possibili e ventilati attacchi.


Qui sotto un  simpatico video del popolo viola  milanese durante un volantinaggio .

Franca



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Tutela del diritto all’attività d’impresa nei rapporti bancari: seminario a Milano il 17 Febbraio

seminario Milano 17 02 09

E’ trascorso quasi un decennio dalle pronunce che hanno consolidato il principio dell’illegittimità dell’applicazione, da parte delle banche, di interessi su interessi. Varie sentenze hanno, poi, riconosciuto l’illegittimità di altri oneri e commissioni previsti nei contratti ed addebitati nel corso del rapporto malgrado la nullità delle clausole. Le banche continuano, tuttavia, a richiedere il saldo anche quando esso è viziato da tali addebiti. Tali comportamenti, a mio avviso, hanno danneggiato l’economia italiana e, tuttora, non agevolano, di certo, il rilancio delle imprese: anzi, ne pregiudicano l’attività!  Molti imprenditori, infatti, ignorano il fenomeno e non conoscono gli strumenti offerti dalla legge per ottenere la restituzione di quanto pagato in eccedenza nel corso degli anni o per resistere a pretese illegittime.

Iter, società che, da anni, organizza seminari specifici e servizi alle imprese (www.iter.it), ha organizzato, a Milano, per il 17 Febbraio p.v., un seminario su: “La tutela del diritto all’impresa nei rapporti bancari: come riconoscere e contrastare le pretese illegittime“. Sono onorato e lieto di essere invitato come relatore. Spero di poter fornire un contributo alla conoscenza del fenomeno e degli strumenti previsti dall’ordinamento al fine di potere liberamente esercitare il diritto fondamentale all’impresa e alla tutela dei diritti e degli interessi dell’imprenditore nei rapporti bancari. Roberto Di Napoli

Per informazioni sul seminario: www.iter.it/seminari


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Preghiere, chiacchiere e bandiere

Le manifestazioni di sabato scorso, in solidarietà alla popolazione di Gaza, hanno destato scalpore. Secondo alcune stime, nella sola città di Milano sono state circa 10mila le persone che hanno aderito all’iniziativa; in diverse città d’Italia, come nelle maggiori città europee, in tutti i Paesi musulmani e perfino in Australia, le proteste contro i bombardamenti israeliani sono state straordinariamente imponenti e partecipate. Cittadini di ogni origine e fede, pure con una netta preponderanza di arabi e di musulmani, hanno espresso con eccezionale chiarezza un dissenso condiviso, come di rado è avvenuto prima d’ora.

[Leggi tutto su Ribat al-mujahid.com]


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Al Prefetto di Milano e al questore di Milano un sentito grazie per l’anticipazione ! ( dal blog Praticomondo )

Califfato_padano

La canzone meneghina più famosa viene censurata.”Oh mia bela Madunnina” ricorre a frasi sovversive contro la teocrazia islamica del Califfato padano.Sulla guglia più alta della ex-chiesa non c’è più la statua d’oro raffigurante la Santa Madre ,è stata issata la luna crescente…

Tra poco non potrebbe essere più solo un incubo…

Infatti la mollezza di chi dovrebbe proteggere la nostra libertà e la nostra civiltà sarà la vera arma di tutta quella gentaglia che aspira e lavora affinchè le nostre radici cristiane e gli stessi simboli sacri della nostra religione vengano cancellati dal tessuto sociale e culturale di tutti gli Italiani.

Non solo non vengono proibite le manifestazioni a favore dei terroristi di Hamas ma addirittura si consente di valicare il limite fissato a migliaia di infiltrati che sotto la guida strategica di un tale Abu Imad, il predicatore della moschea di viale Jenner, già noto alla polizia e alla magistratura. Questo religioso, si fa per dire, ha avuto, il 20 dicembre del 2007, la condanna a 3 anni e otto mesi per associazione a delinquere aggravata dalla finalità di terrorismo internazionale.

È stato ritenuto colpevole di avere collaborato a organizzare attentati in Italia e all’estero attraverso la costituzione di una cellula legata al «Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento».

Condanna confermata in appello nel novembre scorso.Ha guidato i suoi “fedeli”a pregare sul segrato del Duomo:all’esterno di una delle più grandi chiese della Cristianità e solo perché qualcuno aveva sbarrato le porte.

comtinua sul blog Praticomondo


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Intervista all’imam di viale Jenner

La voce di un protagonista, per la comprensione di una vicenda.

D. Shaykh Abu Imad, lei che idea si è fatto sul problema del Venerdi e sullo spostamento del Centro di Viale Jenner?
R. E’ tutto un gioco politico. Partiti come la Lega o La Destra utilizzano questa vicenda a fini elettorali, non volendo trovare una soluzione seria.
Noi è da quattro anni che cerchiamo soluzioni alternative in vari immobili, pagando anche caparre di migliaia di euro ma poi saltano sempre fuori dei problemi. O è il Comune che dice che il posto da noi scelto non è idoneo, o èsono la Lega ed i comitati cittadini che insorgono per nulla: sono convinto che se ci fosse un po’ di coraggio da parte delle istituzioni, questa vicenda si potrebbe risolvere in un mese. Per ora, ci affidiamo al Prefetto.

D. Quali sono le cause di questo problema, ed in generale delle vicende sorte intorno a questo Centro?
R. Questo problema si ricollega comunque alle vicende che purtroppo hanno toccato la moschea. Il Venerdi in strada è riconducibile al fatto che il numero dei fedeli è aumentato nel corso degli anni, e noi non siamo riusciti a contrattare con il Comune un posto idoneo per contenere tutti i credenti.
Comunque l’ attuale situazione è legata anche alla paura che questo Centro suscita, e questo senza motivo.

D. In che senso?
R. Questa moschea è sempre stata attiva da due punti di vista: all’ interno della Comunità, da un lato, e con la società italiana, fin dalla sua nascita, dall’altro. Grazie anche all’apporto che shaykh Said Abu Ziad (che Iddio abbia Misericordia di lui) diede, c’è sempre stato un intenso lavoro sociale, che però gradualmente negli anni è stato infangato dalle inchieste giudiziarie.
Già la situazione afghana e l’ invasione sovietica provarono molto il Centro: soffrivamo per i fratelli e cercavamo di aiutarli con pacchi umanitari ed altre forme di aiuti. Gli anni ’90 poi hanno portato il conflitto in Bosnia, e anche qui sentivamo il bisogno di contribuire al sostentamento dei fratelli. La Bosnia, poi, era vicina, e questo aumentava la nostra preoccupazione. Anche lì mandammo aiuti in cibo e vestiti, ed alcuni fratelli andarono in Bosnia personalmente, per aiutare la resistenza islamica, come ad esempio shaykh Anwar, che morì là (che Iddio abbia Misericordia di lui).

Proprio in questi anni incominciarono i problemi. Nel 1995, durante l’Operazione della Digos “Sfinge”,  venni arrestato con altri egiziani, con l’ accusa di terrorismo e reclutamento.
Quante volte gli agenti sono venuti qui a perquisire il Centro! Dicevano che avevamo armi, progetti, che volevamo creare un stato islamico in Italia.. In realtà non hanno mai trovato nulla. Che dire? Dovranno pur lavorare anche loro! Operazioni del genere possono essere molto utili per far carriera nelle forze dell’ordine.
Comunque sono tutte parole. Tutta l’architettura accusatoria faceva riferimento alla testimonianza di un macellaio egiziano, un bugiardo che affermava di essere stato con noi mentre parlavamo di progetti ed altro; ma sono solo parole, senza alcuna prova reale e non suffragate da fatti concreti.
Dopo l’arresto fummo sottoposti al 416bis, come i mafiosi. Poco tempo dopo ci tolsero il regime duro. Nel 1999, la Terza  Sezione del Tribunale di Milano decretò la mia totale assoluzione per insufficienza di prove. Attualmente sono ancora sotto processo, sempre a Milano, per presunto reclutamento terroristico; ad ottobre ho altre udienze, che Iddio mi aiuti.

Ritornando alle attività del Centro, a fine anni Novanta iniziarono ad esserci pressioni dai governi arabi per limitare le nostre attività, come ad esempio la scuola per bambini e ragazzi. Il Consolato Egiziano iniziò ad esortare gli egiziani di Milano a portar i loro figli a scuola da loro, diffamando il Centro ed affermando che qui i bambini sarebbero stati indottrinati. In verità, la stessa scuola del Consolato Egiziano era nata anche per evitare che i bambini egiziani venissero a studiare qui da noi.

D. E perché secondo lei tutto questo? Tutte queste inchieste e pressioni?
R. Alcuni Paesi arabi – soprattutto dopo alcune nostre dichiarazioni sulle ingiustizie e sull’oppressione perpetrate da alcuni regimi su quelle popolazioni, come in Algeria ed in Egitto – incominciarono a far pressioni a Roma affinché fossero effettuare indagini e perquisizioni a nostro carico. Tutto questo, naturalmente, è stato poi intensificato dall’ 11 Settembre 2001.

D. Come possono i giovani aiutare il Centro Islamico di viale Jenner, e in generale la comunità islamica italiana?
R. Il vostro ruolo è fondamentale. Essendo cittadini italiani, avete un vantaggio in più: in quanto stranieri, benché abbiamo certe garanzie, noi potremmo facilmente essere perseguiti e rimpatriati per i motivi più diversi. Voi invece siete nati qui, vi impegnate per il Paese e contribuite allo sviluppo dell’Italia: voi avete il compito di portare avanti quel lavoro che altri hanno iniziato, facendo conoscere l’Islam meglio di quanto sia conosciuto oggi. Questo è un dovere, per voi.

D. In che modo i giovani possono cercare di contrastare il pregiudizio e la cattiva immagine che si addebitano ai musulmani in Italia?
R. Questo si può fare con un continuo dialogo con la cittadinanza, tramite la comunicazione. Ci sono diversi modi, per comunicare: pubblicate lavori sull’Islam, libri e cassette, cimentatevi nei campi che più v’interessano, impegnatevi a scrivere sui giornali più diffusi. Queste potrebbero essere delle soluzioni per comunicare positivamente con la cittadinanza e con la società italiana.

D. E aprire le moschee, per visite ed incontri?
R. Certo, è già capitato: qui sono tutti benvenuti.

D. Un ultima domanda sul Medio Oriente.
E’ possibile una pace in quelle zone? Se sì, come?
R. La pace si avrà quando l’ establishment israeliana cambierà il suo modo di vedere la situazione. Finché penseranno di essere gli eletti presso Dio e che sia un loro diritto costruire uno stato esclusivamente ebraico in Palestina, è difficile che la situazione possa pacificarsi.


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Scacco all’immigrato in dieci mosse

1° MOSSA. Ignora il fatto che nella tua città ci sono degli immigrati, salvo quando commettono reati o s’incontrano a gruppi per la strada o pregano.
Non dargli il diritto di voto, non costruire alloggi per loro, lascia svolgere alla Chiesa il lavoro di integrazione.

2° MOSSA. Non permettere agli immigrati di costruirsi una moschea , ma costringili ad usare uno spazio troppo piccolo per la comunità. Un garage. Il che significa che quando c’è qualche centinaio di persone che prega, dentro non c’è abbastanza posto, quindi i fedeli sono costretti a pregare per strada.

3° MOSSA. Scatta qualche foto di musulmani che pregano per la strada.
Organizza una manifestazione davanti alla moschea chiedendo di chiuderla. Coinvolgi gli abitanti del quartiere.

4° MOSSA. Suggerisci alcune alternative ridicole. Un velodromo esposto alle intemperie e circondato da gente ricca che sta già raccogliendo firme contro l’uso di quello spazio. O forse – sono parole del vicesindaco di Milano, De Corato – un luogo “dove non ci sono abitazioni né negozi“. O magari l’ex stabilimento dell’Alfa Romeo ad Arese, che non si trova neanche sul territorio di Milano e dove l’amministrazione comunale ha già tentato in passato (senza riuscirci) di “deportare” la comunità cinese per toglierla dal centro cittadino.

5° MOSSA. Proponi di multare chi prega per la strada per “occupazione di suolo pubblico”. Una mossa particolare: è stata suggerita da un uomo che dicono sia di sinistra, il presidente della provincia di Milano, Filippo Penati.

6° MOSSA. Fai in modo che la sinistra si spaventi così tanto per il “problema immigrazione e sicurezza” da imitare il linguaggio della Lega e della destra (vedi quinta mossa).

7° MOSSA. Diventa sempre più severo con la comunità musulmana, per esempio obbligandola a svolgere i servizi religiosi in italiano. Ma qualcuno l’ha detto al Papa? Era lui che voleva tornare alla messa in latino..

8° MOSSA. Blocca ogni possibilità di dialogo. Alza la posta in gioco.
Usa un linguaggio e una propaganda incendiari e razzisti, così nessuno con la testa sulle spalle vorrà mai una moschea davanti a casa sua.

9° MOSSA. Vittoria. Congratulazioni! Hai creato una “emergenza moschea di viale Jenner“, come con la famosa “emergenza Rom“: un’emergenza che esiste solo nella testa delle persone e sulla stampa.
Il numero dei tuoi elettori aumenta. La sinistra è disorientata. In Italia la “sicurezza” diventa la questione politica numero uno, al posto della corruzione, della crisi economica, dell’inquinamento. Ma il prezzo di questa “vittoria” è molto alto per tutti, immigrati e milanesi.

Questa vittoria ha emarginato un’intera comunità di persone, molte delle quali sono il motore dell’economia italiana. A Milano basta andare in un cantiere o in un negozio, oppure ordinare online la spesa al supermercato: gli addetti sono quasi tutti immigrati, e molti sono musulmani. Sono le stesse persone che stanno pagando la pensione a milioni di italiani. E non hanno un posto dove pregare. A Milano non c’è neanche una moschea, al coperto o all’aperto. Neanche un minareto. Niente. Solo un garage.

Io a Viale Jenner ci abito. Davanti alla moschea sono passato centinaia di volte. Non ho mai visto tensioni o violenze. Ma dopo anni di propaganda e di strumentalizzazione della paura dell’immigrato, le persone sono convinte che viale Jenner sia un posto pericoloso. Non è vero, ma è ormai troppo tardi.

Ah, dimenticavo. Effettivamente viale Jenner si è rivelato un posto molto pericoloso, ma per una sola persona. Si chiamava Abu Omar, era in Italia con lo status di rifugiato e nel febbraio del 2003 stava andando a piedi alla moschea, quando è stato rapito da agenti statunitensi con l’aiuto di agenti italiani, che l’hanno portato in una base militare americana dove è stato caricato su un aereo e trasferito in Egitto. Qui è stato torturato. Mentre scrivo non è ancora cominciato il processo per questo atto illegale. Intanto, continua “l’emergenza viale Jenner“.

John Foot, su Internazionale


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Viale Jenner e il posto dei musulmani

Da qualche giorno la Lega ha dato inizio alla sua campagna d’estate. Non c’era più tempo da perdere, perchè le incrinature della strategia leghista nell’attuale coalizione governativa si erano fatte ormai troppo profonde e stridenti. Dal referendum irlandese contro il trattato europeo di Lisbona alle crescenti difficoltà economiche degli enti locali, dallo stallo della situazione di Alitalia fino al moltiplicarsi dei provvedimenti a personale favore del premier: la Lega della Padania Libera, del federalismo e della lotta contro i privilegi del palazzo sbiadiva ormai in quel magma di interessi e scambi di favori che lo stesso Bossi ha definito “un bordello“.
Il polverone, insomma, andava sollevato, ed i leghisti si sono affrettati a farlo andando a rispolverare i campi Rom, prima, ed i marciapiedi di viale Jenner, a Milano, poi.

Il Centro Culturale Islamico di viale Jenner 50, a Milano, nacque nel 1988. A proposito della sua fama di “moschea dei terroristi“, è interessante notare che, a fronte di un “bacino di utenza” stabile di circa 4000 persone – ma molte di più vi avranno fatto riferimento, nel corso degli anni – meno dell’1% è stato imputato in indagini giudiziarie relative al terrorismo internazionale, ed una percentuale ancora minore ha subìto una reale condanna.
Nemmeno il discorso politico, peraltro, si spinge più a denunciare la pericolosità del centro islamico; il motivo polemico, oggi, è invece il disagio creato agli abitanti del quartiere da parte dei credenti musulmani che durante la preghiera del venerdì, a causa dello spazio limitato, si ritrovano a pregare all’esterno del centro, sistemandosi sui marciapiedi antistanti. E’ dunque sintomo di una spiccatissima sensibilità urbanistica, probabilmente, il diretto interessamento – addirittura – del Ministero dell’Interno, per un marciapiede occupato un’ora alla settimana, che provoca minori disagi alla viabilità di un qualsiasi mercato all’aperto.
E’ comunque da parecchi anni, ormai, che i responsabili del centro islamico hanno a più riprese dimostrato la più ampia disponibilità a superare questa situazione di precarietà; tuttavia, le loro numerose lettere al Comune di Milano non hanno ricevuto alcun riscontro, e la ricerca di uno spazio alternativo si è arenata nei cavilli urbanistici e nella renitenza dei potenziali offerenti.

Posta e condivisa la necessità di uno spostamento del centro islamico, ora il problema sta nella localizzazione della nuova sede, che secondo alcuni orientamenti dovrà sorgere “fuori della città, in una zona non urbanizzata, non residenziale e non commerciale“. Insomma, dove li mettiamo, ‘sti musulmani?
Al centro islamico di via Padova 142 – dove il venerdì la preghiera è celebrata a turni, per mancanza di spazio – avevano già provato a rispondere a questo grattacapo, acquistando uno stabile in fondo alla strada, al 366 (verso l’infinito, ed oltre). Eppure, anche il loro tentativo si è rivelato fallimentare: nel loro caso, infatti, la compresenza di una vasta area edificabile, di un’ampia zona per il parcheggio, della fermata della metropolitana e di un’uscita della tangenziale cittadina non venne salutata come un sintomo risolutivo di decoro ed accessibilità, ma piuttosto come l’incentivo ad “un flusso quotidiano di musulmani che rischia di [..] sfociare nella formazione di un ghetto straniero. Attualmente il progetto di adeguamento del terreno – pagato interamente dalla comunità islamica – è sospeso a causa di una legge regionale ad hoc, che ha reso necessari ulteriori specifici permessi burocratici per quelle comunità religiose non convenzionate da un’Intesa con lo Stato. In una parola: il problema delle moschee sono i musulmani che le vogliono frequentare.

Oggi, a Milano, per i circa 70 mila credenti di fede islamica, il diritto costituzionale di esercitare il proprio culto è “garantito” da una piccola moschea fuori della città (Segrate), da pochissimi piccoli stabili, inadeguati ma tollerati dal Comune (viale Jenner, via Padova e via Quaranta, tra gli altri) e dalla prossima agibilità temporanea del velodromo cittadino, per 4 ore alla settimana e dietro pagamento di un regolare, oneroso affitto.
Il ritardo della metropoli lombarda, a confronto con tutte le altre grandi città europee, nella garanzia sostanziale del diritto all’esercizio della fede islamica è del tutto evidente ed inescusabile.

Va detto che per un credente qualsiasi posto è buono per tributare il culto dovuto al suo Creatore – nei limiti delle prescrizioni rituali, naturalmente.
E’ però chiaro interesse di tutta la cittadinanza, al di là di ogni schema ideologico, comprendere che un centro islamico non è soltanto un luogo di preghiera e raccoglimento per molte delle persone che vivono in città; esso può fungere soprattutto da incentivo alle più svariate iniziative di alfabetizzazione, socializzazione, scolarizzazione, avviamento lavorativo, educazione civica e sanitaria, e così via. Spesso queste strutture rappresentano anche gli snodi privilegiati per la promozione dei rapporti organici tra immigrati e territorio, nonché per la saldatura tra rappresentanze linguistiche ed istituzioni locali.

E’ dunque evidente che la tutela della dignità e della riconoscibilità di questi luoghi, qualora condotta con scienza e coscienza, rappresenta un valore per tutta la comunità civile. In questa prospettiva, la proposta di Aldo Brandirali – che prevede l’apertura di piccole moschee di riferimento per le diverse zone di Milano – coglie esattamente il senso e la misura della questione, meritando ogni riconoscimento.
La comunità islamica milanese deve ora dimostrare il miglior grado di compattezza e di maturità politica. Il recente appello di Hamza Piccardo – che sottoscriviamo pienamente – va proprio in questa direzione, auspicando la più solida unità d’intenti e di azioni, innanzi tutto tra i musulmani milanesi. Bisogna riconoscerlo: è giunto il tempo in cui rialzare il capo è divenuta una necessità, prima che una scelta, ed in cui la rivendicazione della propria dignità rappresenta un dovere, ben prima che un diritto.